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Piero Vigorelli: “La brutta deriva del giornalismo”

ROMA – Piero Vigorelli non si smentisce mai. Invitato da Pierluigi Diaco a raccontare la sua esperienza di conduttore e autore televisivo nei primi anni ’90, dal 1991 al 1994, quando era alla guida del format di Rai Due, “Detto tra noi”, racconta quella stagione della sua vita professionale con la consapevolezza di aver attraversato uno dei periodi più complessi della sua vita professionale e forse anche più pericolosi per la sua vita privata.

Piero Vigorelli

Erano gli anni in cui – racconta il famoso giornalista televisivo – la tensione sociale era altissima e la mafia aveva deciso di intimorire e fermare quanti in televisione provavano a raccontarla nelle pieghe più segrete. Piero Vigorelli era uno di questi.
Il racconto che ne fa a “Bellarai”, il pomeriggio di Rai Uno di Pierluigi Diaco, è a dir poco sconcertante, ma quello era il clima di quegli anni e quella la condizione in cui molti cronisti erano costretti a lavorare.
«È vero, ho avuto molti problemi dal punto di vista della sicurezza personale: certe volte stavo in studio, altre ero in esterna ma anche molto protetto. Ero sotto scorta. Lo sono stato per quasi sei anni. Facevo qualche trasmissione e certe volte sotto la camicia avevo il giubbotto antiproiettile, avevo una macchina blindata e avevo sempre i carabinieri di scorta. Però facevo sempre le mie trasmissioni e dopo questo ho raddoppiato le trasmissioni contro la mafia. Paura mai, quello lo posso garantire, ma problemi di sicurezza sì, assolutamente sì, nel senso che dopo Maurizio Costanzo toccava a me».

Piero Vigorelli a Bellama’

Dopo la trasmissione di Rai Uno siamo andati a cercarlo per farci raccontare un’altra delle stagioni importanti della sua carriera professionale, quella da direttore responsabile della Testata Giornalistica Regionale della Rai che, per certi versi, lo ha visto protagonista assoluto di mille battaglie diverse e soprattutto di mille nuove sperimentazioni professionali.
– Direttore, ci ricorda come avvenne la sua nomina a direttore della Tgr nel settembre 1994?
«Da disoccupato, dal 1° maggio 1994. Una data che mi porta sfiga, perché anche il 1° maggio del 1974 ero in disoccupazione per la chiusura del settimanale Tempo Illustrato (dopo due mesi sono stato assunto al Messaggero). Per questo, da allora, non celebro più la festa mondiale dei lavoratori.

Piero Vigorelli con il Presidente della Repubblica Francese, Jacques Chirac

A fine aprile 1994, il neo-arrivato direttore di Raidue, Giovanni Minoli, non mi aveva rinnovato il contratto da conduttore e autore, senza neanche un cenno di saluto o di ringraziamento. Gli andò male. A settembre sono poi diventato direttore della Tgr e Minoli ha perso la poltrona di Raidue.
Di uguale comportamento, è stato il silenzio assordante del consigliere d’amministrazione della Rai, codardo silenzio di Murialdi, non posso non dirlo. Parlo dello stesso Paolo Murialdi, che da vicesegretario nazionale della Fnsi io stesso avevo contribuito a eleggere presidente del sindacato e con il quale avevo condiviso non solo tanti anni d’impegno sindacale, ma anche la nostra stanza di lavoro alla Fnsi. Anche lui poi fu rimandato a casa, con il nuovo CdA della presidente Letizia Moratti».
– Diciamola tutta, era in auge perché da quattro anni aveva rivoluzionato la tivù del pomeriggio, portando in TV la Cronaca in Diretta, programma che aveva fatto decollare Raidue…
«È così. Invece delle soap opere e telefilm vari che imperversavano sui canali Rai e Fininvest, ho portato in tivù il racconto in diretta, e sul luogo dove era accaduto. Fatti di cronaca nera, bianca, rosa e, i grandi misteri religiosi.

Piero Vigorelli

La trasmissione divenne subito leader del pomeriggio televisivo e ancora oggi, anche se in chiave più salottiera, è ancora in onda su Raiuno, ora si chiama Vita in Diretta. Con Alberto Matano. Sono 34 anni, pensi che è fra le trasmissioni più longeve della Rai, insieme a I Fatti Vostri, Chi l’ha visto e La Domenica sportiva».
– Posso chiederle se la sua Direzione è stata frutto della lottizzazione?
«Non lo nego. La mia candidatura è stata avanzata dalla presidente Moratti e da una persona cui lei era legata, ed è stata condivisa dai tre leader del centrodestra: Berlusconi, Fini e Bossi. All’epoca si diceva che Fabrizio Del Noce, giornalista Rai eletto deputato in Forza Italia, girasse i “palazzi” con un foglietto con i nomi dei tre direttori in pectore (Rossella, Mimun e Vigorelli). Era sostanzialmente vero. E così anche per Francesco Storace, portavoce di Fini».
– Filò tutto liscio per come sembrava all’inizio?
«Non del tutto per la verità. Nel CdA che era stato convocato per le nomine ci fu un attimo di titubanza sul mio nome, il consigliere Alfio Marchini, ma la Moratti (lo raccontano gli articoli dell’epoca) è stata perentoria:

Letizia Moratti

“Vigorelli è un grande giornalista, conosce i giornalisti delle varie regioni ed è anche sotto scorta perché condannato a morte dalla mafia” …Meravigliosa Letizia!».
– Chi c’era prima alla guida della Tgr?
«Barbara Scaramucci. Poi, dopo di me, arrivò Nino Rizzo Nervo».
– Direttore, che Tgr ha trovato al suo arrivo?
«Una testata sfiduciata, amareggiata, un po’ scontrosa. Conoscevo molti giornalisti delle redazioni regionali, anche perché nella mia Cronaca in Diretta li coinvolgevo come testimoni o come conduttori. Erano colleghi che erano stufi di “portare l’acqua con le orecchie” ai Tg nazionali, come mi aveva sintetizzato il caporedattore della Gazzetta del Mezzogiorno di Bari, il mitico Franco Chieco, volato in cielo di recente, lui era un fine critico di musica classica».
– Quindi era perfettamente consapevole del peso che le era stato affidato?
«E vorrei vedere! La Tgr, nel 1994, era una sorta di repubblica autonoma nella Rai. Gestiva circa 1.200 persone fra giornalisti (oltre 900), operatori e tecnici. La Rai pagava gli stipendi del personale e affidava alla Tgr un bel budget. Il direttore, – giornalista e anche CEO –, doveva gestire il budget in autonomia e far funzionare tutta la macchina con quei soldi.

Piero Vigorelli

Per fortuna avevo un eccellente direttore generale, un sardo molto tenace, Elio Dongu».
– Immagino che le cose oggi siano cambiate?
«E anche di molto. Adesso la Tgr ha perso la sua autonomia originaria. Se si può dire, è finita nel grande calderone Rai».
– Quali erano i punti chiave del suo piano editoriale?
«Il piano l’ho costruito in diretta. Nel senso che ho imbarcato su due auto i vicedirettori e siamo andati in tutte le redazioni regionali ad illustrare le nostre idee e a raccogliere le idee dei colleghi. Non mi risulta che altri l’abbiamo fatto, né prima né dopo».
– Gliel’hanno approvato subito?
«Non solo questo. Il mio piano editoriale è stato approvato nel segreto delle urne, nonostante le redazioni regionali fossero notoriamente più “di sinistra” che altro, e molti avevano scommesso sul fatto che le redazioni che avrebbero bocciato un direttore “di destra” come io ero stato identificato».

Piero Vigorelli con Vincenzo Muccioli nel 1994 a San Patrignano

– La chiave vincente del suo successo?
«Ricordo che il punto centrale del piano editoriale era la riscossa della Tgr… Terza edizione del telegiornale attesa da almeno un decennio (è stata colpevolmente soppressa un paio di anni fa), un centinaio di nuove assunzioni, una trasmissione in diretta nazionale su Radiodue (chiusa dal mio successore), accordi con la Cronaca in Diretta condotta da Alda D’Eusanio per fare condurre le dirette di cronaca da giornalisti della Tgr.

Fidel Mbanga Bauna

Giornalisti che, così, avevano una gratificante platea nazionale (accordo poi soppresso dal mio successore), valorizzazione delle trasmissioni della Tgr sulle tematiche europee e dell’area mediterranea, nuovo Tg in lingua slovena ed edizioni in francese nella Valle d’Aosta (dove mandai a condurre il neoassunto Fidel Mbanga Bauna, congolese di nascita, il primo conduttore di colore della tivù italiana, poi conduttore della Tgr Lazio)».
– È vero che trovò un’Usigrai molto agguerrita?
«Ma per loro c’era poca trippa per gatti. Sapevano dei miei trascorsi di sindacalista alla Fnsi e sapevano che ero un professionista e non un portaborse. All’epoca, nell’esecutivo Usigrai c’era anche Lilly Gruber. Non era ben vista dagli altri membri. L’Usigrai ha tentato di mettermi i chiodi sotto le ruote, con i soliti giochini politicanti. Poveracci. Con me non ha avuto successo. Riconosco anche che con chi di loro era professionale, ho avuto buoni rapporti, alcuni dei quali durano tuttora. “Sarai stato di destra, ma eri un Direttore vero”, mi dicono.

Piero Vigorelli

Il mio criterio di giudizio? “Se un giornalista di sinistra è bravo, è un’attenuante. Se un giornalista di destra è una pippa, è un’aggravante”».
– È stato un Direttore molto carismatico. Questo le ha creato problemi in azienda?
«Non li ho avuti con la presidenza Moratti. Mi ricordo il primo incontro con il direttore generale, Gianni Billia, grande manager di Stato. Mi disse, con fare severo: “Lei deve dirigere un’azienda, se ne rende conto?”. “Certamente, Direttore. Conosco la Tgr e ci sono varie carenze, a partire dai mezzi tecnici…”. M’interrompe: “Bene, venga la settimana prossima, mi porti un piano dettagliato e intanto si legga i miei studi sul management che ho applicato all’Inps».
– Come andò a finire?
«La settimana dopo torno da Billia. “Dov’è il piano?”. Forse da me attendeva un malloppo ben rilegato e colorato. Gli porgo invece un foglietto Excel, con tutte le richieste di telecamere e altro di ogni redazione regionale e aggiungo: “Per le telecamere, vorrei comprare le Sony 100, che costano la metà di quelle in uso alla Rai e sono più performanti».
– Come rispose?
«Bravo Vigorelli, la finanzio, proceda!».

La sede della Rai in Viale Mazzini a Roma

– Qual era allora il peso della politica nella Tgr?
«Molto pesante. La maggioranza delle Regioni erano allora governate dalla sinistra e i politici locali consideravano la Tgr la loro servizievole appendice comunicativa. Purtroppo, c’erano giornalisti che a questo si prestavano. Una sorta di scudo umano».
– Il suo primo incidente di percorso?

Pierluigi Bersani

«Mi ricordo un bello scazzo… Decido di cambiare il Capo Redattore dell’Emilia e per sparigliare le carte nomino il lombardo Fabrizio Binacchi, bravo professionista e di sangue democristiano di sinistra.
Apriti cielo! Mi arriva una lettera di Pier Luigi Bersani, governatore dell’Emilia Romagna. In due parole: “Come si è permesso di nominare un nuovo capo redattore senza accordarsi con me?”. Gli rispondo: “A quale titolo avrei dovuto farlo? A ognuno, il suo mestiere».
– Immagino sia scoppiata una guerra?
«Assolutamente no. Bersani ha incassato e poi siamo anche diventati amici».
– E a livello di ascolti com’è andata?
«Questo è un bel capitolo. Intanto, mi recavo di continuo nelle redazioni regionali, spesso senza preavviso, e insieme facevamo le scalette. Meno tagli di nastri e più cronaca nera e sociale, più cultura e valorizzazione del bello…Era il mio mantra».

Piero Vigorelli con il padre Giancarlo

– Ricorda le sue prime prove in diretta dai paesi?
«Questo schema in realtà si esaltava con il Telegiornale in diretta dalla piazza principale di un comune della Regione. Pensai, basta con lo studio classico, tavolo e conduttore che legge testi scritti da altri. Avviai così il primo il Tg itinerante, con il buon sapore della spontaneità, della verità, della curiosità».
– Con quali risultati?
«Quando il Tg era in diretta da un Comune, si facevano ascolti che superavano il 50 per cento di share. Con le nuove scalette, si superava sempre il 30%».
– Un bel risultato, direttore?
«Le dirò di più. Mi ricordo che Emilio Fede pensò di spostare il Tg4 dalle 19 alle 19.30, per andare contro la Tgr. L’esperimento non durò più di 15 giorni, perché il Tg4 dimagrì di brutto negli ascolti».
– E i rapporti con i Tg nazionali?
«Si era instaurato il rispetto reciproco. Prima un regionale mandava il suo servizio al nazionale che l’aveva richiesto. A Roma si “rubavano” le immagini, si aggiungeva una riga al testo e il servizio era firmato da un giornalista del nazionale… Questo furto con destrezza (o con sinistrezza) finì.
Rivelatore del “nuovo corso” fu un episodio accaduto durante la grande alluvione al Nord del novembre 1994. Era attesa l’ondata di piena del Po a Rovigo e il direttore Rossella (Tg1) spedisce un collega della Tgr di Milano in Veneto. Avvisato da un incavolato Orazio Carrubba (Capo Redattore a Venezia), ho ordinato al collega lombardo di fare marcia indietro e a Rossella ho fatto una bella ramanzina».
– Nel 2015 volle realizzare il primo sito web della Rai…

Mirko Tremaglia

«Internet stava crescendo esponenzialmente e decidemmo di caricare i Tg e i Gr regionali su un sito web. Lo facemmo pensando a quanti volevano vedere o sentire quel che succedeva nella loro Regione, in un diverso orario e, inoltre, pensando ai milioni di italiani che vivevano all’estero (allora era nato il Ministero per gli Italiani all’Estero, con Mirko Tremaglia, che era entusiasta della nostra idea)».
– Direttore, fece tutto da solo?
«A questo progetto ci lavorò il vicedirettore Duccio Guida, il più tecnologico della compagine. Poi, su suggerimento del condirettore Dario Carella, inserimmo nel sito tutte le produzioni della Tgr, le rubriche Leonardo, Ambiente Italia, Europa, Mediterraneo… Fu un successone».
– Però non dimenticò mai la sua vena di sindacalista, e fu tra i promotori del Singrai…
«Ma ci voleva! L’Usigrai la faceva da padrone, e in tutta la Rai parecchi giornalisti non ne potevano più. Prima nacque il “Gruppo dei 100” e poi il Singrai, con Paolo Cantore, Paolo Corsini e molti altri.

Paolo Corsini

Era più una corrente che un sindacato strutturato, com’è invece ora UniRai, e che sta incontrando un grande successo. Il Singrai ha fatto le sue battaglie, insieme alle correnti più professionali della Fnsi, quali Svolta Professionale (da me fondata), Stampa Democratica (fondata da Walter Tobagi), Stampa Romana (con molti padri), che hanno portato alla segreteria della Fnsi Giuliana Del Bufalo e Giorgio Santerini. Anni d’oro. Dopo di loro, ho ritirato la mia iscrizione alla Fnsi e alla nascita della Figec Cisal ho aderito con entusiasmo perché mi ha dato nuove speranze facendomi tornare la passione di un tempo».
– Poi, una volta andato in pensione, già presidente di Timb (Telecom broadcasting), nel 2012 è stato eletto sindaco di Ponza…
«Bellissima esperienza. Ponza è il mio rifugio da quasi cinquant’anni. La giunta precedente era finita agli arresti e l’immagine dell’isola era degradata. Da giornalista, come Sindaco, ho fatto una campagna pirotecnica per rimodellare l’immagine di Ponza e, sull’isola, ho abbattuto illegalità e ho cominciato a costruire un futuro di ricchezza.

Piero Vigorelli, sindaco di Ponza dal 2012 al 2017

Forse ho messo troppa carne al fuoco e la gente, spaventata dall’innovazione perché conservatrice per protezione isolana, non mi ha rinnovato il mandato. Molti si sono poi pentiti amaramente di averlo fatto e dopo un quinquennio orribile, adesso la nuova Giunta è erede della mia ed ha ripreso il cammino del cambiamento.
– Lei ha lavorato tantissimo nella carta stampata e molto in televisione. Quale dei due giornalismi rimpiange di più?
«Posso dirlo? Rimpiango il giornalismo di ieri, della carta stampata e della televisione. Quello di oggi spesso mi sconcerta per la sciatteria e la saccenteria».
– Lo dice per via della “rete” impazzita?
«Le dico quello che penso, i social hanno imbastardito parecchio la professione. Ascolto i Tg: “Pioggia di missili russi a Kiev. Ci sono un morto e due feriti”. Sempre troppi, d’accordo, ma una pioggia di missili ne avrebbe dovuti fare a centinaia, o no? Oppure leggo: “Il traghetto di Ponza in balia di onde di 8 metri!”.

Piero Vigorelli

In realtà i metri erano meno di tre e l’autore dei pezzi non ha pensato che otto metri sia l’altezza di due piani di un palazzo, cioè un mare che forse non reggerebbe neanche la grande portaerei Eisenhower.
I social, poi, ti illudono di essere un editorialista e non un semplice cronista, che racconta quello che vede e non quello che altri vedono per te. E questa saccenteria ti conduce inevitabilmente a indossare la maglia di una parte politica, ti fa credere di essere tu il politico che spiega alla politica cosa fare e come deve agire.
Questa è la brutta deriva del giornalismo di oggi. Ecco perché rimpiango quello di ieri». (giornalistitalia.it)

Pino Nano

LEGGI ANCHE:
Piero Vigorelli: “La Figec mi ha dato nuove speranze”

 

Pino Nano

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