ROMA – Il Ministero della Giustizia ha sonoramente bocciato e rispedito al mittente la delibera con cui, l’8 novembre scorso, il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha approvato, con 30 voti a favore, 16 contrari e 4 astenuti, i “Criteri interpretativi dell’art. 34 della legge 69/1963 sull’iscrizione al Registro dei Praticanti”.
Delibera contenente una norma finalizzata a consentire «in via eccezionale e su casi specifici, l’avvio del praticantato anche in assenza di una testata e di un direttore responsabile»,
«Si tratta – osserva il Ministero della Giustizia – di un intervento di contenuto normativo non consentito dal sistema ordinamentale, nel quale la legge istitutiva dell’Ordine professionale ha predeterminato in modo compiuto e organico le modalità di iscrizione nel registro dei praticanti in ragione di un periodo svolto presso una testata e con un direttore responsabile, senza delegare alcun potere normativo autonomo in capo al Consiglio nazionale che abbia attitudine derogatoria alle fonti primarie».
Il Ministero della Giustizia (Dipartimento per gli Affari Generali di Giustizia – Direzione Generale degli Affari Interni – Ufficio II – Ordini Professionali e Albi), diretto da Giovanni Mimmo, ha infatti scritto al Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti su sollecitazione dei consiglieri nazionali di opposizione che, dopo l’approvazione della delibera, hanno fortemente criticato il provvedimento invocando un provvedimento “protettivo” volto a sospenderne l’operatività.
«Le censure svolte sull’operato dell’organo consiliare – rileva il Ministero della Giustizia – si incentrano, sotto vari profili, sulla violazione del principio di legalità, declinato in concreto quale rispetto della gerarchia delle fonti, giacché l’adozione dei censurato criteri interpretativi per l’iscrizione nel registro dei praticanti avrebbe configurato una modalità di accesso totalmente difforme e contrastante con le normative vigenti, attribuendo agli ordini regionali di procedere, in via eccezionale, all’iscrizione al registro dei praticanti a seguito dell’accertamento del lavoro giornalistico svolto a prescindere dal riferimento a una testata giornalistica».
In aggiunta, i consiglieri di opposizione hanno segnalato «la possibile difformità di trattamento a seconda che il Consiglio territoriale decida di applicare o meno i suddetti criteri, determinandosi così una potenziale discriminazione di aspiranti giornalisti sul territorio nazionale».
«Giova preliminarmente osservare che il Ministero della Giustizia – afferma il direttore generale Mimmo – non esercita una funzione di controllo di legittimità sulle delibere consiliari, potendone eventualmente sospenderne l’efficacia, ma ha il compito di vigilare sul funzionamento dei Consigli e degli Ordini di numerose professioni regolamentate.
Invero, secondo una previsione sostanzialmente omogenea delle leggi che regolano gli Ordini professionali, tale funzione di vigilanza si estrinseca nel potere di scioglimento di un Consiglio che non sia in grado di funzionare regolarmente (per qualsiasi ragione), ovvero quando sia trascorso il termine di legge senza che si sia provveduto all’elezione del nuovo Consiglio, ovvero ancora quando il Consiglio stesso, richiamato all’osservanza degli obblighi ad esso imposti, persista nel violarli.
Con riguardo all’Ordine dei giornalisti, l’art. 24 della legge 3 febbraio 1963, n. 69 recita: « Il Ministro della giustizia esercita l’alta vigilanza sui Consigli dell’Ordine. Egli può, con decreto motivato, sentito il parere del Consiglio nazionale, sciogliere un Consiglio regionale o interregionale, che non sia in grado di funzionare regolarmente; quando sia trascorso il termine di legge senza che si sia provveduto alla elezione del nuovo Consiglio o quando il Consiglio, richiamato all’osservanza, degli obblighi ad esso imposti, persista nel violarli.
Con lo stesso decreto il Ministro nomina, scegliendo tra i giornalisti professionisti, un commissario straordinario, al quale sono affidate le funzioni fino alla elezione del nuovo Consiglio, che deve avere luogo entro novanta giorni dal decreto di scioglimento».
In quest’ottica, pertanto, il Ministero della Giustizia «è tenuto a verificare il rispetto del parametro di legittimità nell’azione amministrativa posta in essere dal Consiglio, potendolo così invitare al rispetto della normativa vigente».
«Tanto chiarito in via preliminare – rileva il Ministero della Giustizia – nel merito i criteri interpretativi adottati nella delibera dell’8 novembre 2022 introducono una modifica nell’accesso al registro dei praticanti difforme da quanto previsto dal sistema vigente e dalle forme primarie di riferimento».
Al riguardo, l’art. 34 della legge n. 69/1963, rubricato “Pratica giornalistica”, al comma 1 stabilisce che «La pratica giornalistica deve svolgersi presso una quotidiano, o presso il servizio giornalistico della radio o della televisione, o presso un’agenzia quotidiana di stampa a diffusione nazionale e con almeno 4 giornalisti professionisti redattori ordinari, o presso un periodico a diffusione nazionale e con almeno 6 giornalisti professionisti redattori ordinari».
Il precedente art. 33 prevede al comma 1 che «Nel registro dei praticanti possono essere iscritti coloro che intendono avviarsi alla professione giornalistica e che abbiano compiuto almeno 18 anni di età.
La domanda per l’iscrizione deve essere corredata dai documenti di cui ai numeri 1), 2) e 4) dell’articolo 31. Deve essere altresì corredata dalla dichiarazione del direttore comprovante l’effettivo inizio della pratica di cui all’articolo 34».
Il d.P.R. 4 febbraio 1965, n. 115, rubricato “Regolamento per l’esecuzione della legge 3 febbraio 1963, n. 69, sull’ordinamento della professione di giornalista”, stabilisce all’art. 36 “Iscrizione nel registro dei praticanti”, che «Coloro che intendano essere iscritti nel registro dei praticanti debbono, all’inizio delle attività previste dall’art. 34 della legge, inoltrare al Consiglio regionale o interregionale di residenza domanda di iscrizione, allegando, oltre i documenti previsti dal secondo comma dell’art. 33 della legge, la dichiarazione del direttore dell’organo di stampa comprovante l’effettivo inizio della pratica». (comma 1), precisando: «Il direttore della pubblicazione o del servizio giornalistico è tenuto, a richiesta dell’interessato, al tempestivo rilascio della dichiarazione di cui al primo comma». (comma 3).
Pertanto, a parere della Direzione Generale del Ministero della Giustizia «il complesso normativo sopra richiamato stabilisce in modo chiaro e univoco i requisiti e le modalità per l’iscrizione nel registro dei praticanti, ancorandola al riferimento diretto e ineludibile a una testata e un direttore responsabile».
«È certamente vero – osserva il direttore generale Mimmo – che nel testo dell’art. 34 della legge professionale siano contemplate mozioni, quali quella di “diffusione nazionale”, che rappresentano clausole generali, il cui contenuto non può che essere riempito di significato tramite un’attività ermeneutica svolta dai Consigli. In quest’ottica rientrerebbe pienamente nell’ambito del precetto la predisposizione da parte del Consiglio nazionale di linee guida interpretative che regolino in modo uniforme il contenuto minimo che assume rilevanza ai fini del soddisfacimento del requisito in questione, presupposto essenziale per l’iscrizione nel registro».
Il Ministero della Giustizia sottolinea che «la delibera dell’8 novembre 2022, tuttavia, non ha questo specifico contenuto, ma in ottica di razionalizzazione e di armonizzazione della legge professionale con i mutamenti intervenuti nel tessuto sociale, in attesa che il Parlamento prenda in considerazione le istanze riformatrici avanzate dalla categoria – come si legge nel comunicato contenuto nel sito del Consiglio a commento della delibera – si è spinta ad aggiornare alcune modalità di accesso all’esame di Stato, sostanzialmente attribuendo agli Ordini regionali la facoltà di consentire l’iscrizione con una “modalità eccezionale” nel registro dei praticanti a tutti quelli che riescono a dimostrare di avere esercitato per 6 mesi attività giornalistica retribuita».
Come sottolineato in premessa, «di conseguenza, si tratta di un intervento di contenuto normativo non consentito dal sistema ordinamentale, nel quale la legge istitutiva dell’Ordine professionale ha predeterminato in modo compiuto e organico le modalità di iscrizione nel registro dei praticanti in ragione di un periodo svolto presso una testata e con un direttore responsabile, senza delegare alcun potere normativo autonomo in capo al Consiglio nazionale che abbia attitudine derogatoria alle fonti primarie. Nè siffatto potere, peraltro, è conferito dalle norme generali che disciplinano i poteri del Consiglio nazionale, ai sensi degli articoli 20 ss. della legge 69/1963».
In altri termini, la modalità eccezionale delineata dal Consiglio nazionale «per far fronte ai cambiamenti che hanno interessato il giornalismo negli ultimi anni” (così testualmente la delibera) – osserva il Ministero della Giustizia – è stata intesa come “un aggiornamento dei criteri interpretativi dell’art. 34 della legge professionale”, sebbene la norma non attribuisca un siffatto potere, né peraltro l’art. 34 sottenda alcuna esigenza interpretativa sul punto, ancorandosi in modo chiaro e diretto alle nozioni di “quotidiano“, “servizio giornalistico della radio e della televisione”. “agenzia quotidiana di stampa a diffusione nazionale”, “periodico a diffusione nazionale”, tutti con un direttore responsabile ai sensi della legge professionale».
Per il Ministero della Giustizia «dirimenti sul significato della delibera appaiono le parole spese sul sito istituzionale dal Presidente per illustrare il contenuto della delibera: “Un piccolo passo, ma una coraggiosa innovazione fatta in autoriforma – afferma il presidente Carlo Bartoli – oggi sono in tanti a lavorare negli uffici stampa, sui social media e con le nuove tecnologie digitali, che svolgono attività giornalistica ma non possono essere riconosciuti, in quanto non hanno una testata di riferimento. Con questa nuova interpretazione andiamo incontro ad una realtà composta soprattutto da freelance e precari che ambiscono ad entrare a pieno titolo nel perimetro del giornalismo. Ovvio che auspichiamo di avere quanto prima riscontri positivi dal nuovo Parlamento per una riforma organica della professione».
Il Ministero della Giustizia, dunque, senza giri di parole conclude: «Orbene, pur potendosi condividere l’esigenza palesata da codesto Consiglio di adeguare l’accesso alla professione alle profonde innovazioni che si sono verificate nel settore dell’editoria, preme tuttavia ribadire che si tratta di modifiche normative che non sono demandate alla potestà regolatoria dell’Ordine, il quale, a legislazione primaria invariata, non può configurare una modalità di accesso al registro dei praticanti difforme e contrastante con il quadro normativo vigente, prescindendo dai parametri ritenuti necessari dal legislatore.
A ciò, peraltro, si aggiunge il profilo della possibile discriminazione tra aspiranti giornalisti, perché quella di prescindere dai criteri legali per l’iscrizione nel registro è stata configurata come una mera facoltà in capo agli Ordini territoriali, con possibilità di riscontrare prassi difformi sul territorio nazionale, in pregiudizio del principio della certezza e dell’uniformità delle situazioni giuridiche».
Il Ministero della Giustizia «alla stregua di queste considerazioni, in definitiva, invita il Consiglio nazionale a revisionare i criteri interpretativi deliberati in data 8 novembre 2022 nei termini sopra esplicitati, al fine di risultare coerenti Con quanto disposto dagli articoli 33 e 34 della legge professionale, nonché dell’art. 36 del regolamento attuativo». (giornalistitalia.it)