«Se da un lato – ha evidenziato Bulgarelli – abbiamo i media costretti a rispettare norme e codici deontologici, dall’altro assistiamo a una carenza di norme che consentano si controllare maggiormente l’utilizzo delle piattaforme».
Nell’incontro, in particolare, si è fatto riferimento alla Carta di Treviso del 1990, aggiornata nel 2016 e sottoscritta dai giornalisti italiani d’intesa con Telefono Azzurro, per far convivere da un lato il diritto all’informazione e dall’altro il desiderio di vivere in una società che tuteli i più deboli e in particolare l’immagine di bambini e adolescenti.
Regole, quelle della Carta, che i giornalisti e le testate devono rispettare, ma che invece non sembra siano altrettanto seguite sui social, anche da chi utilizza i propri profili commercialmente.
C’è un principio importante indicato all’interno della Carta di Treviso, ovvero che «il minore non va intervistato o impegnato in trasmissioni televisive o radiofoniche che possano lederne la dignità o turbare il suo equilibrio psicologico, e ciò a prescindere dall’eventuale consenso dei genitori». Ma è giusto applicare questa sensibilità solo sulle testate giornalistiche?
Un altro tema particolarmente delicato e importante è quello della tutela della privacy, che va intesa sia come protezione dei dati personali, sia come diritto alla riservatezza della propria vita privata. Con il blocco dei cookie sul proprio device o computer si attiva la protezione dai sistemi di tracciamento, ma questa azione digitale di difesa del proprio diritto all’anonimato ha come contropartita solo un’attività limitata online.
Perché rifiutare la profilazione non permette di poter accedere in maniera completa ai post che appaiono sui propri profili delle piattaforme social? Tutto ciò è corretto o è un modo subdolo di forzare le persone a disattivare le protezioni sulla privacy? Sono questi fatti che andrebbero analizzati, verificati e normati in maniera chiara.
C’è un altro aspetto che va considerato. Attraverso la profilazione dell’utente, il trasferimento di notizie e comunicazioni viene costruito ad hoc senza consentire l’accesso a una più ampia gamma di informazioni. Informazioni che, invece, è possibile ottenere con la consultazione di più testate giornalistiche.
«A chi continua a qualificare i social come strumenti informativi – assicura Bulgarelli – Figec risponde che questa definizione non si può applicare a strumenti digitali che fondano su algoritmi e analisi di utilizzo la loro proposta di notizie all’utente».
«A nostro avviso – è la conclusione di mons. Ettore Malnati e Andrea Bulgarelli – l’informazione giornalistica è ancora quella più libera e indipendente, certo con visioni che possono non coincidere, ma che sicuramente non sono costruite da un algoritmo e che comunque non sono pubblicità e promozioni non dichiarate: il giornalismo è sottoposto a regole». (figec.it)